1083* 19 aprile 2024
(Articolo tratto da ilfoglio.it)
L’apprendimento sociale di comportamenti utili, una prerogativa per lungo tempo ritenuta unica di alcuni vertebrati fra i quali gli esseri umani, è stato appena dimostrato in una specie di insetti sociali, i bombi.
Per molti miliardi di anni, l’unico modo di aumentare il patrimonio di informazione a disposizione di una specie per fronteggiare al meglio possibile il proprio ambiente è stati genetico: un’innovazione utile scaturita da qualche mutazione casuale del DNA (anche su larga scala e attraverso l’acquisizione di DNA esogeno, come i lettori di questa pagina sanno) si è diffusa per via riproduttiva ed è stata purificata dalla selezione naturale, secondo il classico meccanismo darwiniano.
Poi, in taluni organismi complessi e dalla vita sociale, vi è stata la graduale comparsa di meccanismi di propagazione culturale di adattamenti comportamentali utili, di cui il più semplice ed il più diffuso consiste nell’apprendimento imitativo, guardando ad individui del proprio gruppo. Attraverso questo meccanismo, è possibile la diffusione di innovazioni complesse, migliorate lungo le generazioni per casi fortunati o da individui particolarmente ingegnosi, innovazioni che non sarebbero sviluppabili nella vita di un singolo individuo, sia perché il cumulo di passaggi fortuiti necessari per apprendere da zero è troppo poco probabile, sia perché non vi sarebbe il tempo di operare la selezione ad ognuno di tali passaggi.
La trasmissibilità dell’innovazione attraverso il meccanismo di imitazione comportamentale (o attraverso qualunque altro meccanismo di trasmissione), cioè, consente anche l’incremento culturale dell’innovazione stessa, proprio come la trasmissibilità attraverso la riproduzione delle mutazioni genetiche vantaggiose consente l’accumularsi di mutazioni in un genotipo molto differente e meglio adattato rispetto a quello che potrebbe prodursi ex-novo a partire da zero.
Attraverso la trasmissione imitativa delle innovazioni, le cornacchie grigie, anche sulla strada di fronte a casa mia, hanno imparato a raccogliere le noci e lasciarle cadere in volo per aprirle, scegliendo preferibilmente l’asfalto delle strade meno frequentate; altri corvidi hanno imparato ad usare strumenti; certi gruppi di orche hanno di recente imparato a cacciare gli squali bianchi, mentre altre hanno tecniche specifiche per altri tipi di prede, che insegnano ai piccoli; popolazioni di scimpanzè hanno ereditato la capacità di appuntire spiedi per andare a caccia, o di utilizzare incudini e percussori ben selezionati per rompere le noci, e così via, fino ad arrivare alla nostra stessa specie, che usa ben altri mezzi in aggiunta alla capacità imitativa. Ora, il punto è che la capacità di trasmettere informazioni per via non genetica, così da incrementare e migliorare un’innovazione utile “scoperta” da un singolo individuo, è stata finora ritrovata solo in animali vertebrati, ovviamente sociali; per questo, si è per lungo tempo pensato che tale capacità fosse largamente dipendente dal tipo di cervello di questi animali e dalle società che taluni di essi formano. Invertebrati estremamente intelligenti e capaci di apprendimento, come il polpo, per quanto ne sappiamo non formano gruppi sociali e non condividono le innovazioni che ciascun individuo scopre, essendo così privi come specie di un bagaglio incrementale e condiviso di conoscenze; viceversa, invertebrati eusociali come molti imenotteri – formiche ed api – pur se in grado di apprendere (anche le amebe lo sono), non sembravano in grado di condividere informazione nella popolazione se non per via genetica (fatta forse eccezione per lo stereotipato comportamento di danza delle api), e soprattutto non sembravano in grado di condividere innovazioni comportamentali ritrovate da un singolo individuo.
Non sembravano, fino ad oggi: un nuovo lavoro, pubblicato da Nature, mette infatti in discussione cosa siano realmente capaci di fare insetti eusociali del gruppo delle api come i bombi.
Un gruppo di ricercatori ha provato ad insegnare una cosa nuova, mai vista prima, ad alcuni bombi: a premere in sequenza due barrette di colore diverso, per ottenere una ricompensa zuccherina.
È stato molto difficile, perché i bombi perdevano interesse per la prima barretta, senza una ricompensa immediata; così, si è prima insegnato loro a premere le due barrette colorate, fornendo una ricompensa ogni volta, e poi la ricompensa dopo la prima barretta è stata eliminata. Alla fine, alcuni bombi hanno appreso il comportamento relativamente complesso di premere nella giusta sequenza di colori le due barrette, per avere il loro premio. Quindi, due gruppi di bombi diversi da quelli che avevano appreso sono stati esposti al problema per 24 ore, e nessuno, da solo, ha imparato a risolvere il rompicapo. A questo punto, in ciascun gruppo è stato introdotto un individuo “istruito”: ebbene, dopo poco un numero significativo di animali in entrambi i gruppi aveva appreso il comportamento nuovo, dimostrando così la sua trasmissione imitativa.
Se negli insetti eusociali, il cui cervello è ovviamente ridottissimo rispetto al nostro, è possibile un apprendimento per imitazione, vi è la base per la costruzione “culturale” di comportamenti complessi, attraverso graduali migliorie, come nei vertebrati; e se si pensa a cosa fanno certe specie di formiche che coltivano funghi con una tecnica complessa, è affascinante immaginare cosa potrebbe significare una trasmissione almeno in parte culturale di questi o altri comportamenti. Alla fine, grazie alla selezione naturale si evolvono modi di trasmettere l’informazione utile indipendentemente dai geni in gruppi di organismi più disparati di quel che credevamo; e l’apprendimento per imitazione, veicolo più antico per questo tipo di trasmissione, non è più limitato alla specie nostra e a quelle relativamente più simili a noi.
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