370* 05 maggio 2021
…”alimenti in cattivo stato di conservazione, con cariche microbiche superiori ai limiti consentiti, insudiciati o invasi da parassiti”… è solo una delle parti (collegabili al mondo della disinfestazione) tratte in ballo circa l’ambigua e contraddittoria abrogazione su un intero “livello di tutela” del diritto penale della sicurezza agroalimentare.
Riportiamo un’ interessantissima esposizione circa le ultime novità in merito a tale… rivoluzione normativa europea che sancisce varie depennazioni e cambiamenti del modo sanzionatorio.
Una complessa e articolata questione dall’assente buon senso che sa da ingiustizia nei confronti di meritevoli settori, categorie, produttori (…italiani).
(Articolo tratto da sistemapenale.it)
«Tre parole di rettifica del legislatore ed intere biblioteche diventano carta straccia»[1]
1. Cos’è successo (in sintesi). – La legge di delegazione europea n. 117/2019 ha fissato i principi e i criteri per l’adeguamento della normativa nazionale al reg. (UE) n. 625/2017 relativo ai controlli ufficiali per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari[2]. L’obiettivo politico di fondo è corretto, oltre che noto: armonizzare, a livello europeo, i controlli dell’intera filiera agroalimentare.
È proprio in quest’ottica che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 27, recante “Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625 in materia di controlli ufficiali sugli animali e le merci provenienti dagli altri Stati membri dell’Unione e delle connesse competenze degli uffici veterinari per gli adempimenti comunitari del Ministero della salute ai sensi dell’articolo 12, comma 3, lettere f) e i) della legge 4 ottobre 2019, n. 117” [3].
Lì in mezzo, però, c’è finito anche un articolo 18[4].
La questione è seria, perché con esso il legislatore ha abrogato, tra gli altri, i noti artt. 5, 6, 12 e 12-bis della l. n. 283/62. In verità, non ha eliminato solo le più celebri contravvenzioni igienico-sanitarie, ma quasi tutta la vecchia legge del 1962 (compresi, pare, gli illeciti amministrativi ivi presenti), ad eccezione degli artt. 7, 10 e 22. Vale a dire che, tra le altre cose, questo “articolo 18” elimina con un vero e proprio «colpo di spugna»[5] un universo normativo che costituisce (o meglio: costituiva) un intero “livello di tutela” del diritto penale della sicurezza agroalimentare.
Come gli studiosi di diritto agroalimentare sanno, tra gli illeciti amministrativi e i delitti codicistici ci sono sempre state le (oggi utilizzatissime) contravvenzioni[6].
L’art. 5 della l. n. 283/62, in sintesi, proteggeva il consumatore dall’impiego di sostanze alimentari: a) private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali; b) in cattivo stato di conservazione; c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali; g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per la sanità o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loro impiego; h) che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo.
Gli artt. 6, 12 e 12-bis della l. n. 283/62, dal canto loro, precisavano anche le conseguenze sanzionatorie – arresto, ammenda, eventuale inibizione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna sul certificato del casellario, eventuale chiusura dello stabilimento, revoca della licenza e così oltre –, estendendole, in alcuni casi, anche all’introduzione nel territorio della Repubblica di sostanze alimentari destinate al commercio non allineate alle disposizioni presenti nella stessa l. n. 283/62[7].
Tutto questo, oggi, è stato abrogato.
C’è un superstite.
Una contravvenzione s’è salvata, ma è nota (solo) per essere da decenni disapplicata[8].
È quella fissata all’art. 10, che punisce con l’ammenda la produzione, la vendita o la messa in commercio di sostanze alimentari o carta ed imballaggi destinati ad involgere le sostanze stesse (oppure oggetti di uso personale o domestico) colorati con colori non autorizzati.
Oltre a questa eccezione, peraltro ben poco significativa, con l’art. 18 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 27 gli artt. 5, 6 12 e 12-bis della l. n. 283/62 scompaiono dai radar dei penalisti. Ciò, beninteso, ha diverse implicazioni, tecniche, economiche e sociali, di sicura rilevanza. In questo breve intervento, lo si anticipa sin da subito, non ci sarà spazio per la trattazione della possibile incostituzionalità per eccesso di delega di questa disposizione di favore, già rilevata da alcuni[9], né per la (complessa) individuazione dei suoi effetti. Oltre ad alcuni rilievi tecnici, il centro della riflessione sarà la scelta politico-criminale.
2. La linea politico-criminale più condivisa in prospettiva di riforma. – Se c’è una linea politico-criminale comune all’interno dei più recenti progetti di riforma in materia di sicurezza agroalimentare, è senz’altro orientata all’implementazione, e non all’indebolimento, dello strumento penale[10].
Tutto questo ha una spiegazione, beninteso.
L’importanza dei beni giuridici coinvolti e la fragilità dello strumento contravvenzionale suggeriscono una maggiore attenzione ad alcuni essenziali profili di prevenzione e repressione delle frodi (non solo) sanitarie tipiche del settore alimentare. La contravvenzione, come s’è appena detto, è uno strumento fragile (anche se utile); un po’ per l’esiguità delle sanzioni ivi previste, un po’ per l’elevata probabilità di andare incontro alla prescrizione e un po’ per essere (quasi sempre) oblazionabili[11].
Le strade per il rafforzamento della disciplina, le opzioni tecniche, sono molte.
Il d.d.l. AC 2427[12], che in realtà recepisce molto dei lavori della c.d. “Commissione Caselli”, prevede una riorganizzazione sistematica degli illeciti agroalimentari, potenziando un “sistema” punitivo prevalentemente penale nel suo genere, creando tutele (anticipate e) crescenti: contravvenzioni, delitti di danno e, infine, di pericolo per la salute pubblica. Il rischio rimane di competenza praticamente esclusiva dell’illecito amministrativo; le contravvenzioni si occupano invece del danno colposamente cagionato ma incapace di attivare pericoli per la salute pubblica; i delitti extra-codicem, da ultimo, coprono le condotte dolose su alimenti nocivi (sempre incapaci di attivare pericoli per la salute pubblica). Così facendo si lascia al diritto penale nucleare (il “Kernstrafrecht”) la protezione dei soli fatti pericolosi per la salute pubblica (oltre a quelli produttivi di lesioni e morte), creando un sistema di pene piuttosto equilibrato. Il disegno di legge di cui si sta discutendo vuole immettere nella l. n. 283/1962 la disciplina della “delega di funzioni”, intende estendere ad alcuni illeciti agroalimentari le operazioni sotto copertura (artt. 517-quater.1, 517-septies c.p.), introdurre la responsabilità delle persone giuridiche, e così oltre fino a criminalizzare la “non tracciabilità” della sostanza alimentare[13].
Il d.d.l. AC 2427, benché migliorabile, potrebbe rivoluzionare l’art. 5 della l. n. 283/1962[14]; potrebbe realizzare una vera e propria tutela ad offensività “scalare”[15]. Potrebbe, ma l’art. 18 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 27, se non inibito con qualche “strumento”, vanificherà ogni sforzo.
3. Implicazioni e dubbi. – L’art. 5 della l. n. 283/62 era senz’altro “operativo”.
La disciplina punitiva in materia di sicurezza agroalimentare confonde, non c’è dubbio.
A una lettura superficiale l’illecito amministrativo sembra prevalere quantitativamente su quello penale. Non c’è gara, ed è vero: le loro norme-precetto e norme-sanzione sono da tempo numericamente superiori rispetto ai delitti e alle contravvenzioni. A seguito della grande e largamente nota opera di depenalizzazione, quello agroalimentare è divenuto un vero e proprio “sistema” di sanzioni amministrative[16]. Le contravvenzioni sono poche, pochissime: giusto quelle fissate nell’art. 5 della l. 283/62 e poche altre sparpagliate qua e là per l’ordinamento (e che oggi restano operative)[17]. Sicché, in base al principio di specialità la disposizione amministrativa, naturalmente più specifica perché sempre ritagliata sulle esigenze di singoli settori merceologici o addirittura di singoli alimenti, dovrebbe operare “al posto” dell’illecito penale.
C’è un però, anzi due.
L’art. 9 della l. n. 689/1981 crea un’eccezione, rovescia la prospettiva, capovolge la regola[18]. L’illecito penale, in materia agroalimentare, prevale su quello amministrativo; in estrema sintesi, è questo il motivo per il quale i penalisti pensano all’art. 5 della l. n. 283/62, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, come alla base della normativa in materia di sicurezza agroalimentare, ecco perché lo considerano il centro assoluto di questo “sistema punitivo” interconnesso e multilivello. Dopo la riforma del 1999, le contravvenzioni di cui alla l. n. 283/62, essendo a contenuto generale, hanno raccolto numerosi precetti (apparentemente) sanzionati come illeciti amministrativi[19].
L’attività ermeneutica ha fatto il resto.
Lo ha fatto prevalentemente aprendo (spesso e volentieri) veri e propri “Stargate” orientati alla criminalizzazione a tappeto, tramite l’art. 5 della l. n. 283/62, di norme-precetto di natura meramente amministrativa[20]. Non abbiamo lo spazio per trattare compiutamente questo tema, ma è qualcosa di largamente noto in letteratura e che, come fenomeno, risulta purtroppo ben più generale, che si spinge ben oltre il settore di cui si discute.
L’art. 5 della l. n. 283/6, poi, aveva un senso.
L’obiettivo era la protezione della salute dei singoli consumatori[21]. Del resto, quel che differenziava le fattispecie codicistiche di pericolo comune dalle contravvenzioni di cui alla l. n. 283/62 soprattutto era il «‘calibro’ delle rispettive tutele»[22], ovvero l’entità del danno che si voleva prevenire: «… la prevenzione delle offese alla salute presenta, infatti, una bipolarità teleologica, potendo riguardare sia il pericolo comune, sia il pericolo per singole persone. La prima tipologia di offesa alla salute – pericolo comune – presuppone due aspetti caratterizzanti e interconnessi: l’indeterminatezza quantitativa (in incertas ac plurimas personas), quale riflesso delle modalità diffusive del pericolo […]. La seconda forma di offesa alla salute concerne, invece, le ipotesi in cui, per le proprie caratteristiche, il pericolo può, tutt’al più, riguardare un singolo individuo (indeterminato) o una cerchia ristretta di persone, senza che sia possibile riscontrare la probabilità di processi patologici diffusivi»[23].
Cosa accade ora?
Prende vita la disciplina dell’abolitio criminis.
Sicché, tutte le condotte contemplate all’art. 5 della l. 283/62 non costituiranno più reato in futuro e, come precisa esplicitamente l’art. 2, comma 2, c.p., tale scelta politica travolgerà inevitabilmente anche tutti i fatti pregressi. Quindi saggeremo l’interruzione immediata dell’esecuzione delle pene e di tutti gli effetti penali delle condanne passate.
Non che ci dispiaccia osservare il diritto penale che, una volta tanto, si ritira; ma qui l’estensione dei nostri spazi di libertà porta inevitabilmente con sé anche diverse problematiche di prevenzione, gravi vuoti di tutela.
Il settore di riferimento, innanzitutto, è enorme.
Anche se quello delle frodi alimentari è ormai un problema europeo nel suo genere[24], solo a livello nazionale le industrie agroalimentari (in rapido aumento)[25] contano 70.934 aziende, delle quali 21.946 sono società di capitali; solo nella provincia di Modena (una delle realtà situate nel cuore della Food Valley) esistono circa 10.000 aziende agricole e 530 imprese industriali con un volume d’affari complessivo di circa 5 miliardi di euro. È un mercato assai delicato, dove le frodi (sanitarie e commerciali) sono piuttosto diffuse. Si pensi solo al fatto che nel 2018 la Coldiretti evidenziava un «… balzo del 58%» delle notizie di reato nel settore agroalimentare; soprattutto con riferimento ad alcuni settori merceologici come il vino, il biologico, l’olio, l’ortofrutta, e così oltre[26]. Nemmeno il Covid-19 ha fermato le frodi agroalimentari: tra febbraio e aprile 2020 sono state elevate 948 contestazioni amministrative e depositate 49 notizie di reato all’Autorità Giudiziaria, eseguiti 57 sequestri per un valore di oltre 3 milioni di euro[27].
E tutto questo non avviene “solo” per la libera scelta di alcuni imprenditori spregiudicati che operano nella filiera, ma in un certo senso anche per le implicite richieste di coloro che quegli alimenti vogliono mettere in tavola; alcuni consumatori pretendono (e “premiano”) sempre più spesso operatori del settore capaci di mettere a disposizione alimenti tipici di Paesi lontani, in ogni stagione, che costino poco e che siano privi di difetti fisici e dotati di colori brillanti e innaturali, con shelf life sempre più lunghe, e così oltre. La genesi criminologica di questi illeciti, dunque, è molto più complessa di quel che sembra.
La casistica è enorme, si può fare solo qualche esempio.
Dalla ricotta realizzata con il latte in polvere ma venduta come fresca alle vongole veraci dotate di cariche microbiche oltre i limiti fissati dalla legge, fino ai prodotti con OGM non dichiarati in etichetta, a quelli privi della data di scadenza, al tonno trattato col monossido di carbonio o al pesce in genere trattato col perossido d’idrogeno, alla carne rossa arricchita di cortisonici, e molto oltre.
Si pensi poi, per fare un ultimo esempio, alle vacche e all’utilizzo del progesterone[28]. Questo ormone steroideo è normalmente autoprodotto dalla vacca da latte e la quantità presente nel singolo animale finisce per dipendere da diversi fattori (dalla genetica all’ambiente, fino alla presenza di una più o meno completa e sana alimentazione). Tuttavia, può essere “aggiunto” dall’allevatore in quantitativi anche molto elevati, innescando così uno di quei seri pericoli per la salute del consumatore che l’art. 5, comma 1, lett. a) della l. n. 283/62, in definitiva, intendeva prevenire.
Ma quella protezione, oggi, non c’è più.
Occorre farsi qualche domanda: siamo davvero sicuri di voler affidare la difesa dei singoli consumatori contro frodi di questo tipo al farraginoso e blando illecito amministrativo (laddove rimasto operativo)? Da un punto di vista tecnico è una scelta che si può senz’altro fare, ma è davvero funzionale al raggiungimento di meritevoli scopi sociali, politico-criminali e di garanzia?
È difficile capire se l’art. 18 del d.lgs. n. 27/21 sia il frutto di un errore, di una disattenzione oppure di una scelta politica consapevole. E anche in quest’ultimo caso, può sorgere il dubbio che questa riforma, in realtà, abbia risolto qualche (serio) problema ermeneutico: posti gli indiscutibili deficit di prevenzione e repressione che questa abrogazione produrrà e di cui si è già detto, v’è anche da dire che la giurisprudenza aveva messo da tempo in scacco l’industria agroalimentare. Da un lato, non si può non vedere l’enorme quantitativo di frodi sanitarie che prendono vita ogni giorno e i pericoli che esse generano per il consumatore; dall’altro lato, però, non si può non pensare all’applicazione giurisprudenziale di quelle contravvenzioni igienico-sanitarie oggi abrogate con il d.lgs. n. 27/21. Non si può non riflettere, a mente fredda, sull’inopportunità di quelle continue operazioni ermeneutiche (queste sì consapevoli) che portavano le fattispecie contravvenzionali a dilatarsi fino a scoppiare sotto il peso di beni giuridici «inventati come le storie»[29] e di analogie in malam partem occultate sotto l’etichetta dell’interpretazione estensiva [30].
Al netto dei dubbi, i problemi rimangono.
Le sanzioni amministrative possono essere messe a bilancio, quelle penali no (o, quantomeno, non allo stesso modo). Il fatto che tra noi consumatori e la carne contaminata da escherichia coli o da salmonella ci sia solo una sanzione amministrativa – sempre, beninteso, che almeno quella ci sia rimasta davvero – non ci tranquillizza molto. Gli esempi fatti (dalla carne rossa arricchita coi cortisonici all’utilizzo del progesterone per il miglioramento della fertilità delle vacche da latte, e molto oltre) individuano sono solo una piccolissima parte delle condotte capaci di attivare pericoli seri e purtroppo assai diffusi lungo tutta la filiera agroalimentare. E molte di queste condotte riflettono disvalori qualitativamente penalistici nel loro genere; senza contare il fatto che, da un punto di vista pratico, le (ormai abrogate) contravvenzioni igienico-sanitarie legittimavano «… controlli di polizia amministrativa e giudiziaria, coi relativi sequestri, finalizzati a impedire la commissione, lungo la filiera agroalimentare, dei ben più gravi reati del Codice penale (articoli 439 e seguenti) applicabili per lo più (solo) quando gli eventi lesivi si sono già verificati»[31].
La questione, in definitiva, è molto complessa.
4. Conclusioni. – Julius Hermann von Kirchmann, in fondo, ha sempre avuto ragione[32].
Come ebbe scrivere nel suo “Die Werthlosigkeit der Jurisprudenz als Wissenschaft” (1847): «Tre parole di rettifica del legislatore ed intere biblioteche diventano carta straccia». Il numero degli esempi che un giurista contemporaneo concentrato sul diritto positivo, sull’esegesi o sulle sue prospettive di riforma, potrebbe utilizzare per mostrare l’esattezza di queste parole è tale da trasformarle in un sortilegio; in qualcosa che, volendo, può assumere il sapore di una maledizione[33]. I politici parlano (molto), e le loro “parole”, a volte, finiscono su carta; sovente le loro nuove disposizioni mandano al macero le biblioteche di tutti, civilisti, amministrativisti, giuslavoristi e penalisti, e così oltre; poco importa il singolo settore di riferimento.
Oggi tocca (anche) alla sicurezza agroalimentare.
Non è la prima volta, né sarà l’ultima.
Consapevole o meno, quella cristallizzata nell’art. 18 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 27, rimane una scelta piuttosto amara per i consumatori, per le associazioni di categoria e, in definitiva, anche per gli studiosi. I difetti di un singolo settore possono essere migliorati nel tempo, ma serve un disegno, una prospettiva, un progetto; in fondo, è a questo che mirano (da sempre) gli sforzi della letteratura penalistica e degli addetti ai lavori in genere. E lo si può fare anche senza giungere all’abrogazione completa di un intero “livello di tutela” in settori delicati come questo.
Questa non è un’abrogazione qualsiasi.
È radicale, è rivoluzionaria, è inaspettata, è sbagliata.
In una riunione di ottobre 2019, il Ministero della salute aveva comunicato l’esigenza di dare attuazione alla legge di delegazione già citata (v. supra § 1): tra gli altri, Coldiretti si era fermamente opposta all’abrogazione della l. n. 283/62, facendo particolare opposizione all’eliminazione del comparto contravvenzionale ivi contenuto (artt. 5, 6, 12 e 12-bis)[34]. Il legislatore, in un primo momento, ha pensato bene di eliminare quella previsione contro la l. n. 283/1962: lo schema di d.lgs. del 2 novembre dello scorso anno, recante “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625 ai sensi dell’articolo 12, comma 3, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 4 ottobre 2019, n. 117”, infatti, non la conteneva più.
Poi, come per magia, quella disposizione abrogante (e arrogante) è ricomparsa nell’art. 18 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 27, trasformando, ancora una volta, i penalisti in architetti di progetti irrealizzati. Questo articolo 18, affatto “neutro” nel suo genere, ha preso vita, come troppo spesso accade, all’insaputa di coloro che hanno dedicato mesi, o anni, alla creazione di un nuovo “sistema” in materia d’illeciti punitivi agroalimentari; è una scelta che fa male, soprattutto perché coinvolgendo gli esperti del settore – o attendendo qualche tempo – si sarebbe potuto fare di più, magari lavorando ancora (e meglio) sul d.d.l. AC 2427.
Il risultato raggiunto, almeno per ora, è ben diverso.
È una scelta politica contro uno ius sedimentato[35], contro una linea politico-criminale largamente condivisa, contro la riscrittura dei reati in materia agroalimentare e di salute pubblica concluso il 14 ottobre 2015 dalla commissione Caselli[36] e contro il nuovo percorso di riforma, attualmente fissato in un disegno di legge all’esame della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati[37]. È una lex senza padri.
[1] J. H. von Kirchmann, La mancanza di valore della giurisprudenza come scienza (trad. it. Paolo Frezza), Pisa, 1942, 18. La frase in lingua originale è: «Drei berichtigende Worte des Gesetzgebers, und ganze Bibliotheken werden zu Makulatur».
[3] GU Serie Generale n. 56 del 11-03-2021, reperibile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/03/11/21G00034/SG.
[4] L’art. 18, rubricato “Abrogazioni”, afferma tra le altre cose che: «Sono abrogati i seguenti provvedimenti […] b) legge 30 aprile 1962, n. 283, recante modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 7, 10 e 22; c) legge 26 febbraio 1963, n. 441, recante modifiche ed integrazioni alla legge n. 283 del 1962, fatta salva la disposizione di cui all’articolo 7; d) decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1980, n. 327, recante regolamento di esecuzione della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande […]».
[5] Su questa abrogazione, cfr. A. Natalini, Colpo di spugna sui reati alimentari: abrogate le contravvenzioni igienico-sanitarie minori, in Il Sole 24ore, 13 marzo 2021.
[6] Tra i fondamentali, senza alcuna pretesa di completezza, v. D. Castronuovo, Sicurezza alimentare, in Aa.Vv., La riforma dei reati contro la salute pubblica. Sicurezza del lavoro, sicurezza alimentare, sicurezza dei prodotti, M. Donini-D. Castronuovo (a cura di), Padova, 2007, 21 ss.; A. Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, 2, “Reati di comune pericolo mediante frode”, in C.F. Grosso, T. Padovani, A. Pagliaro (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte speciale, vol. IX, Milano, 2013; Aa.Vv., La sicurezza agroalimentare nella prospettiva europea. Precauzione, prevenzione, repressione, Foffani, Doval Pais, Castronuovo (a cura di), Milano, 2014; D. Castronuovo, Depenalizzazione e modelli di riforma penale: il “paradigma” del sistema di illeciti in materia di alimenti, in IP, 1/2001, 295 ss.; Aa.Vv., Illeciti punitivi in materia agro-alimentare, A. Gargani (a cura di), in Trattato teorico-pratico di diritto penale, F. Palazzo, C.E. Paliero, F. Pelissero (diretto da), Torino, 2021, in corso di pubblicazione.
[7] Per la casistica giurisprudenziale su questi articoli della l. n. 283/62, cfr. R. Guariniello, Codice della sicurezza degli alimenti commentato con la giurisprudenza, Wolters Kluwer Italia, 2016, 303 ss., 514 ss., 523 ss., 525 ss.
[8] Come è stato notato, l’ultima applicazione edita di questo illecito contravvenzionale è del lontano 1979. Cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 27118/1979, Ced. 142703. Lo nota A. Natalini, Colpo di spugna sui reati alimentari, cit., 2.
[9] Tra i primi a evidenziarlo anche Coldiretti nella riunione dell’ottobre 2019 indetta dal Ministero della salute. Nel “Documento Coldiretti” dal titolo “Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 27 – Osservazioni”, si legge «Coldiretti ha espresso l’assoluta contrarietà alla prevista abrogazione della l. n. 283/1962 […] rilevando un eccesso di delega rispetto alle previsioni di cui all’articolo 12, co. 3, lett a) del d.lgs. n. 117/2019 che prevede soltanto la possibilità di ‘adeguare e raccordare le disposizioni nazionali vigenti alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625, con abrogazione espressa delle norme nazionali incompatibili e mediante coordinamento e riordino di quelle residue’ e lett. i), che conferisce al Governo soltanto il potere di ‘ridefinire il sistema sanzionatorio per la violazione delle disposizioni del regolamento 2017/625 attraverso la previsione di sanzioni amministrative efficaci, dissuasive, proporzionate alla gravità delle violazioni medesime’». Poi, in senso conforme, v. il recente intervento di A. Natalini, Colpo di spugna sui reati alimentari, cit., 3. Questi dubbi, a una prima lettura, sembrano più che fondati.
[10] I progetti per una riforma sistematica degli illeciti punitivi in materia agroalimentare parte dall’ormai lontano 2009. Per tutti, e senza alcuna pretesa di completezza, si v. le considerazioni presenti in M. Donini, Il progetto 2015 della commissione Caselli. Sicurezza alimentare e salute pubblica nelle linee di politica criminale della riforma dei reati agroalimentari, in Diritto agroalimentare, 2/2016, 207 ss.; C. Cupelli, Il cammino della riforma dei reati in materia agroalimentare, in Dir. pen. cont., 2 novembre 2015; poi, per l’ultimo progetto di riforma, v. D. Castronuovo, La riforma dei reati a tutela della salute pubblica e della sicurezza alimentare. Appunti sul d.d.l. 2427, in questa Rivista, 14 dicembre 2020.
[11] A. Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, cit., 607.
[13] L’art. 2, in estrema sintesi, criminalizza l’assenza di tracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli operatori del settore alimentare e dei mangimi che impediscono, ostacolano o comunque non consentono agli organi di controllo la ricostruzione della rintracciabilità di cui all’articolo 18 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, sono puniti con l’ammenda da euro 600 a euro 6.000». Questo delicato tema è stato spesso oggetto di operazioni giurisprudenziali di dubbia qualità, v. il nostro Stargate. Latte non tracciato, formaggio «mal conservato» [art. 5, comma 1, lett. b), l. 283/62], in Diritto agroalimentare, 1, 2017, 125 ss. V’è da dire, però, che gli effetti negativi di una nuova contravvenzione così delicata sarebbero (parzialmente) moderati dall’operatività, almeno nei casi più blandi, del meccanismo estintivo già noto nella sicurezza sul lavoro (artt. 19 ss. del d.lgs n. 758/1994) e in materia ambientale (l. n. 68/ 2015); con gli artt. 12-ter e 12-quater della nuova formulazione della l. n. 283/62 è infatti offerta all’indagato la possibilità di adeguarsi alla normativa.
[14] Il progetto in parola prevede una parziale trasformazione dell’art. 5 in ipotesi delittuosa. Nella formula proposta alcune fattispecie avrebbero concentrato il disvalore penalistico delle condotte sull’esistenza di alimenti: (comma 1) che per inosservanza delle procedure o dei requisiti di sicurezza prescritti da leggi o regolamenti oppure per il cattivo stato o l’inidoneità delle condizioni di conservazione, per i trattamenti subìti, per l’alterazione ovvero per la presenza di ingredienti, componenti, cariche microbiche o additivi vietati o superiori ai limiti stabiliti da regolamenti o disposizioni ministeriali, sarebbero risultati nocivi o inadatti al consumo umano (putrefatti, deteriorati, decomposti o contaminati), anche soltanto per particolari categorie di consumatori; (comma 2) il cui consumo sarebbe risultato nocivo (anche soltanto per particolari categorie di consumatori) a causa della falsità o incompletezza delle informazioni commerciali fornite in relazione agli alimenti. Com’è stato rilevato dalla più attenta letteratura, sarà piuttosto complicato distinguere questo art. 5, comma 1, dai delitti codicistici che sempre il medesimo legislatore intende introdurre coi nuovi artt. 440 e 440-bis c.p.: «… soprattutto perché è venuto meno il criterio di distinzione fondato sulla tipologia dell’attività produttiva/di distribuzione, che nel Progetto Caselli serviva per elevare a delitto solo le ipotesi dolose connesse alla commercializzazione all’ingrosso, restando contravvenzionali quelle della commercializzazione al dettaglio (…) L’unico requisito di differenziazione esterna, cioè tra codice e legge speciale, resta dunque l’assenza, nelle previsioni di quest’ultima, di un concreto pericolo per la salute pubblica» (così D. Castronuovo, La riforma, cit., 18).
[15] Oltre alla natura delittuosa delle due ipotesi dolose e alla natura contravvenzionale di quelle colpose (art. 5, comma 3), quel disegno di legge prevede il mero illecito amministrativo sia per le ipotesi di alimenti non genuini irregolari o in cattivo stato di conservazione, sia per l’inottemperanza a provvedimenti attuativi del principio di precauzione. Dovrebbe essere aggiunto l’art. 5-bis, punendo con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.500 a euro 15.000 chiunque non ottemperi alle misure provvisorie di gestione del rischio adottate dalle autorità dell’Unione europea o nazionali in attuazione del principio di precauzione in materia alimentare. Questa sanzione, poi, subisce un significativo aggravio nel caso in cui il fatto, in relazione alla quantità di prodotto, dovesse essere di particolare gravità: in questi casi il quantum lieviterebbe da 15.000 a euro 75.000.
L’art. 5-bis, poi, avrebbe sottoposto alla medesima sanzione (da 1.500 a 15.000 Euro) chi, nell’ambito di un’attività d’impresa: (comma 1) avesse preparato, prodotto, importato, introdotto in custodia temporanea o in deposito doganale, spedito in transito, esportato, trasportato, somministrato, detenuto per il commercio, commercializzato o messo altrimenti in circolazione alimenti privati, anche in parte, dei propri elementi nutritivi o mescolati a sostanze di qualità inferiore o comunque aventi una composizione non conforme alle norme vigenti; (comma 2) impiegato nella preparazione, importato, introdotto in custodia temporanea o in deposito doganale, spedito in transito, esportato, trasportato, somministrato, detenuto per il commercio, commercializzato o messo altrimenti in circolazione alimenti in cattivo stato di conservazione, con cariche microbiche superiori ai limiti consentiti, insudiciati o invasi da parassiti. Anche in questi ultimi casi, laddove le condotte fosse state di particolare gravità in relazione alla quantità di prodotto, sarebbe stata applicata ex art. 5, comma 3, la sanzione amministrativo-pecuniaria da euro 15.000 a euro 75.000. Da notare che ai sensi dell’art. 5, comma 4, sarebbe stato sottoposto a una sanzione qualitativamente identica, ma più mite nel quantum – ovvero: da 50 a 500 euro – chiunque, al di fuori dell’ambito di un’attività di impresa, avesse importato alimenti in cattivo stato di conservazione, insudiciati o invasi da parassiti. Anche qui, però, i rapporti tra il nuovo delitto di cui, ad esempio, all’art. 5, comma 1 e l’illecito amministrativo ex art. 5-ter, comma 2, saranno tutt’altro che semplici, in quanto le condotte contemplate, fatta eccezione per il requisito della nocività, appaiono pressoché identiche (così D. Castronuovo, La riforma, cit., 20). Da notare, poi, che all’abrogazione dell’art. 6 della l. n. 283/1962 sarebbe discesa l’eliminazione della contravvenzione ivi prevista per la produzione e per il commercio di fitosanitari senza autorizzazione. Questo “fatto”, di conseguenza, sarebbe rimasto punibile in via meramente amministrativa ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 69/2014 concernente sanzioni per la violazione delle regole sul commercio di prodotti fitosanitari.
[16] G. Pica, voce Illeciti alimentari, in Enc. dir. Agg., VI, Milano, 2002, 444.
[17] Si pensi, in primo luogo, al d.lgs. n. 206/2001, recante “Attuazione della direttiva 98/81/CE che modifica la direttiva 90/219/CE, concernente l’impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati”, che agli artt. 20, 21 e 22 prevede norme-sanzione di natura penale. Esso si propone di stabilire misure per l’impiego degli MOGM – quindi ogni entità microbiologica cellulare o non cellulare (il cui materiale genetico è stato modificato in un modo che non avviene in natura per incrocio e/o ricombinazione) capace di replicarsi o di trasferire materiale genetico, compresi virus, viroidi, cellule animali e cellule vegetali in coltura – che tutelino la salute dell’uomo e l’ambiente. Ancora: si pensi al d.lgs. n. 169/2004, recante “Attuazione della direttiva 2002/46/CE relativa agli integratori alimentari”, il cui art. 15, oltre ad alcuni norme-sanzione di carattere amministrativo, introduce nel “sistema” due ipotesi contravvenzionali. Qui s’intende disciplinare la produzione di “integratori alimentari”, ovvero di prodotti alimentari destinati a integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate. A mero titolo di esempio, le regole sottoposte a sanzione penale sono: a) l’obbligo di commercializzare gli integratori alimentari solo in forma preconfezionata; b) utilizzare nella loro produzione solo minerali e vitamine elencati nelle liste positive di cui agli allegati I e II e nelle forme/quantità ivi previste. Da ultimo, e fra gli altri, è possibile richiamare anche il d.lgs. 193/2007, recante “Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore”; all’art. 6, comma 1, introduce un’ipotesi contravvenzionale così strutturata: «Chiunque, nei limiti di applicabilità del regolamento (CE) n. 853/2004, effettua attività di macellazione di animali, di produzione e preparazione di carni in luoghi diversi dagli stabilimenti o dai locali a tale fine riconosciuti ai sensi del citato regolamento ovvero la effettua quando il riconoscimento è sospeso o revocato è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno o con l’ammenda fino a euro 150.000, in relazione alla gravità dell’attività posta in essere».
[18] L’attuale formulazione dell’articolo in analisi – derivante, come noto, dalla l. n. 507/1999 – dispone che «… i fatti puniti dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni e integrazioni, si applicano soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti da disposizioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di produzione, commercio e igiene degli alimenti e delle bevande». Sul tema, tra i molti, cfr. C. Piergallini, Depenalizzazione e riforma del sistema sanzionatorio nella materia degli alimenti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1450 ss.
[19] D. Castronuovo, Depenalizzazione, cit., 295 ss.
[20] Per una recente riflessione su questo punto, v. ancora il nostro Stargate, cit., 125 ss.
[21] A. Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, cit., 606 ss.
[22] Ivi, 602.
[23] Ibidem.
[24] Per alcune delle statistiche aggiornate a livello europee, si v. il rapporto annuale (2019) dal titolo «The EU Food Fraud Network and the Administrative Assistance and Cooperation System», reperibile on-line
.
Vuoi saperne di più? Scrivici senza impegno!