901* 22 maggio 2023
(Articolo tratto da tg24.sky.it)
Un nuovo algoritmo che è in grado di leggere gli stimoli ricevuti dal cervello di un ratto e ricostruire in un altro schermo una sequenza di immagini simile a quella proiettata per gli animali.
L’obiettivo dello studio condotto dal Politecnico di Losanna è aiutarci a capire come il cervello possa elaborare le informazioni
Cosa vede un topo? Algoritmo decodifica in immagini i segnali del cervello del roditore.
Scoperto un nuovo algoritmo che è in grado di leggere gli stimoli ricevuti dal cervello di un ratto e ricostruire in un altro schermo una sequenza di immagini simile a quella proiettata per gli animali.
L’obiettivo dello studio condotto dal Politecnico di Losanna è aiutarci a capire come il cervello possa elaborare le informazioni
Si chiama Cebra ed è un nuovo sistema di apprendimento automatico in grado di ricostruire la struttura nascosta del codice neurale.
La scoperta pubblicata sulla rivista Nature, è stata fatta da un gruppo di scienziati della Scuola Politecnica Federale di Losanna (Epfl).
L’equipe guidata da Mackenzie Mathis ha sottoposto dei topolini alla visione di un filmato in bianco e nero di un uomo che corre verso un’auto.
Utilizzando i segnali prodotti dalla corteccia visiva dei topi, l’algoritmo Cebra ha permesso di addestrare un modello di apprendimento profondo chiamato “deep learning” che decodifica ciò che l’animale sta guardando.
L’algoritmo è stato in grado di leggere gli stimoli ricevuti dal cervello e ricostruire in un altro schermo una sequenza di immagini simile a quella proiettata per gli animali.
“Questo lavoro – sostiene Mathis – rappresenta un passo in avanti sostanziale verso gli algoritmi applicati alla neurotecnologia e alle interfacce mente-computer (Bmi)”.
I segnali cerebrali vengono ottenuti direttamente misurando l’attività cerebrale tramite elettrodi inseriti nell’area della corteccia visiva del cervello del topo.
L’obiettivo finale di Cebra sarà quello di identificare una struttura nei sistemi complessi e aiutarci a capire come il cervello possa elaborare le informazioni.
“Le potenziali applicazioni cliniche sono entusiasmanti e non si limitano alla ricerca neuroscientifica” conclude il ricercatore.
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