La mosca del formaggio Piophila casei

1135* 18 luglio 2024

(Articolo tratto da colkim.it)

Il prosciutto in Italia, nazionale oppure con marchio DOP/IGP, rimane uno dei salumi più rinomati ed apprezzati dai consumatori, ma certamente pochi conoscono la “mosca del formaggio” o “moschetta”, Piophila casei, un minuscolo insetto che rappresenta una delle specie infestanti più dannose per il settore delle carni e dei formaggi stagionati.

Questo dittero è noto anche sotto il profilo medico-veterinario in quanto potenziale vettore di numerosi microrganismi patogeni, come ad esempio Lysteria monocytogenes (listeriosi).

In natura fa parte abitualmente della fauna dei decompositori di carcasse animali ed è valutato in un contesto di Entomologia forense.

Capite perfettamente la sua pericolosità quando tende a contaminare una derrata alimentare di suo gradimento!

Anche se la sua presenza “controllata” sul “casu marzu” sardo (il famoso formaggio con i vermi) tende a creare un prodotto alimentare prelibato, per alcuni estimatori, ma attualmente non accettato dalle direttive della Comunità europea sulla sicurezza alimentare.

L’adulto della moschetta (3-5 mm) è di colore nerastro, con occhi rossastri e zampe giallastre e riflessi iridescenti sulle ali.

La femmina dopo essere stata fecondata comincia nell’arco di 48 ore a deporre le uova sulla superficie dell’alimento: in particolare del prosciutto preferisce le aree adiacenti alla testa del femore, il gambo dove si trova la cordicella per appenderlo alle scalere, le screpolature e piccole cavità presenti nel tessuto muscolare.

In questi ambienti ogni femmina matura, che vive fino a 10 giorni, depone 150-300 uova, 4-7 volte al giorno.

Dopo la schiusa, le larve, bianco-giallastre, per evitare la luce tendono a intrufolarsi all’interno del prodotto contaminato.

Una caratteristica delle forme giovanili di questa specie è la capacità di “saltare” allo scopo di trovare un luogo adatto all’impupamento, più asciutto e a una certa distanza da dove hanno mangiato: i “saltarelli”, come vengono chiamati volgarmente, si piegano su se stessi e dopo aver afferrato l’estremità caudale del corpo con gli uncini boccali, scattano improvvisamente, fino ad una distanza di oltre 20 cm, cadendo poi sul pavimento.

Numerose ricerche hanno evidenziato che questa specie, oltre ad adattarsi a vari substrati alimentari proteici, è particolarmente resistente alle avverse condizioni ambientali, essendo in grado di resistere e svilupparsi in un ampio intervallo di temperature.

Ad esempio i saltarelli hanno un’elevata capacità di sopravvivere a basse temperature 2-3 giorni a – 15°C, 10 giorni a – 4°C, 30 giorni a 5°C, 180 giorni a 9-10°C.

L’intero ciclo biologico può variare da 3-4 mesi a 13°C fino ad appena 12-14 giorni a 32°C, con condizioni ottimali a 23-28°C.

Questo insetto risulta pertanto molto pericoloso nelle sale di stagionatura dei prosciutti in quanto, ad una temperatura di 15-18°C, sono necessari 40-80 giorni per passare dall’uovo all’adulto.

Di conseguenza in questi locali si possono avere diverse generazioni l’anno.

La gestione di questo subdolo parassita è complessa ed è incentrata soprattutto sui sistemi preventivi.

Anche piccole quantità di grasso o residui proteici “umidi” possono supportare lo sviluppo delle larve.

Spesso anche gli alimenti danneggiati sono infestati da queste piccole mosche e solamente il “cattivo odore” ci può indirizzare verso le aree colonizzate dalle larve.

Naturalmente i locali di stagionatura rimangono quelli più a rischio.

Oltre alla presenza degli adulti, discreti volatori, nei casi più gravi si osservano sotto le scalere dei prosciutti numerose larve alla ricerca di un buon sito per nascondersi e compiere la metamorfosi per raggiungere lo stadio di individuo maturo.

Non è facile modificare temperatura ed umidità degli ambienti di stagionatura per renderli meno attraenti nei confronti degli insetti infestanti, in quanto si rischia di alterare quei parametri unici e fondamentali per la produzione e maturazione di alimenti così particolari.

Di conseguenza diventa fondamentale una razionale progettazione dei locali di stoccaggio e delle attrezzature per la lavorazione della materia prima, abbinata a regolari ed efficienti pratiche di sanificazione.

In tali ambienti, oltre ad opere di esclusione come le “classiche” reticelle alle finestre, piani di appoggio e strutture in legno dovrebbero essere, per quanto possibile, sostituiti con acciaio inox.

Attualmente non esistono sistemi di monitoraggio specifici e certificati, ma alcuni studi applicativi hanno individuato molecole che sembrano efficaci per attirare e catturare gli adulti all’interno di trappole particolari.
I dispositivi luminosi non sono particolarmente idonei nei confronti della mosca del formaggio, ma in ogni caso le catture sulle piastre collanti possono darci informazioni sull’importanza dell’infestazione e sulla ricerca di valori soglia che potrebbero annullare i reclami da parte dei clienti finali.
I trattamenti spaziali con piretroidi non residuali non sono ammessi in presenza di alimenti e possono essere effettuati solo dopo l’allontanamento di salumi e formaggi infestati.
In ogni caso nei giorni successivi nuovi adulti continueranno a svilupparsi nel materiale contaminato, senza alcuna drastica diminuzione della popolazione di mosche.

Un nuovo approccio al controllo di questi parassiti è legato alla tecnica della lotta biologica: recentemente sono stati individuati ed allevati in laboratorio due piccoli parassitoidi, “minuscole vespe” dal nome scientifico impronunciabile, in grado di infestare le pupe della moschetta.

I primi dati sembrano promettenti, ma solamente studi approfonditi sul campo (nelle sale e magazzini di stagionatura) potranno indicarci se varrà la pena di percorrere questa strada.

 

Dell’argomento ne abbiamo parlato anche nell’articolo n° 369.

Consultateci per ulteriori informazioni!

 

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