662* 15 maggio 2022
Nel 2018, in collaborazione con alcuni appassionati ed esperti di droni, iniziammo una progettazione che prevedeva l’utilizzo dei droni nella disinfestazione “in quota” contro i vespidi.
Ciò avrebbe facilitato le operazioni di disinfestazione in quelle situazioni di altezze “importanti” (con un certo risparmio di costo) che altrimenti avrebbero dovuto vedere necessariamente l’utilizzo di piattaforme aeree o impalcature a norma per agire in sicurezza.
L’idea era quella di telecomandare un drone in cui venisse montato, vicino alla telecamera, uno spruzzatore di insetticida che potesse colpire i nidi.
Ma una serie di adempimenti burocratici, prescrizioni e necessarie richieste di permessi, hanno intralciato l’iniziativa che risultava non più conveniente sotto il profilo organizzativo ed economico.
Del resto, privi di autorizzazione, si può “guidare” droni senza vincoli ma solo fino a 340 grammi di peso. Stiamo in effetti parlando di droni giocattoli che non avrebbero supportato facilmente un peso dello strumento irroratore.
L’ENAC è l’Ente Nazionale Per L’Aviazione Civile che detta le regole circa l’utilizzo dei droni.
Da una recente ricerca abbiamo trovato la narrazione di una nuova tipologia di droni, scesa in campo in Giappone per combattere anche in questo caso il fenomeno degli enormi nidi di vespe che minacciano la sicurezza.
L’esperimento è stato condotto in una città a circa 100 chilometri da Kyoto.
Il progetto è frutto dell’iniziativa di un’importante azienda che si occupa di noleggio di attrezzature per la pulizia.
L’azienda, invece dell’irroratore, ha pensato di adattare una sorta di apposito aspirapolvere ai droni.
In questo modo i velivoli possono facilmente avvicinarsi agli insetti e risucchiarli in tutta sicurezza.
Gli operatori non devo fare altro che, a distanza di sicurezza, manovrare le operazioni del drone che si avvicinerà al nido. Sarà poi l’aspirapolvere a risucchiare gli insetti, evitando il pericoloso lavoro manuale degli operatori.
Il drone che si occupa di queste attività ha una dimensione di circa 80 centimetri e può agire sui nidi di vespe che raggiungono anche i 35 centimetri di grandezza.
Il settore dei lavori in quota è uno tra i più esposti a situazioni di rischio gravi, che spesso possono comportare anche incidenti mortali.
Solitamente gli ambienti che richiedono un’attenzione particolare nel rispettare le norme e prevenire i fattori di rischio sono cantieri temporali e mobili, dove la percentuale di infortuni è particolarmente alta.
La definizione di lavori in quota, in ogni caso, non riguarda solo i contesti sopra citati: comprende, infatti, tutte le attività lavorative che, rispetto a un piano stabile, portano il lavoratore a operare a più di 2 metri di altezza.
Lavori in quota: normativa e obblighi del datore di lavoro
La normativa di riferimento per i lavori in quota è il Titolo IV capo II del D.Lgs 81/08, che disciplina valutazione dei rischi e misure di prevenzione da attuare.
Nello specifico, l’art.111 del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro stabilisce quali sono gli obblighi per il datore di lavoro. Egli deve scegliere le attrezzature più idonee per garantire condizioni di lavoro sicure, in conformità a due macro-criteri:
– dare priorità alle misure di protezione collettiva rispetto a quelle individuali;
– il tipo di attrezzatura di lavoro deve essere adatta alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi.
Egli, inoltre, è tenuto a:
– scegliere il tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in base a frequenza di circolazione, dislivello e alla durata dell’impiego;
– disporre l’utilizzo di una scala a pioli, sul posto di lavoro in quota, solo nel caso in cui l’uso di attrezzatture considerate più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della breve durata di impiego o non è compatibile con le caratteristiche del sito;
– disporre l’impiego di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi (alle quali il lavoratore è direttamente sostenuto) e sedili di sicurezza, solo quando dalla valutazione dei rischi risulta che il lavoro può essere svolto in condizioni di sicurezza, per breve durata, e che l’impiego di attrezzature più sicure non sia compatibile con le caratteristiche del sito;
– individuare le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, in base alle attrezzature utilizzate, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute;
– nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro richieda l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, segnalare la temporanea eliminazione del dispositivo stesso ed adottare misure di sicurezza equivalenti ed efficaci;
– effettuare lavori temporanei in quota solo se le condizioni meteorologiche non mettono in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori;
– vietare l’assunzione e somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche ai lavoratori addetti ai lavori in quota;
– garantire che le opere provvisionali siano allestite con buon materiale e a regola d’arte, efficienti, proporzionate e idonee allo scopo, e provvedere alla loro verifica secondo l’Allegato XIX prima del loro reimpiego.
Lavori in quota: rischi
La caduta dall’alto è, chiaramente, il rischio più frequente per chi lavora in quota. Eventi accidentali, come la perdita di equilibrio, possono portare a conseguenze davvero gravi se non sono state messe in atto le necessarie misure di sicurezza.
Collegate al rischio di caduta vi sono, però, anche altre tipologie di situazioni potenzialmente pericolose. Ad esempio, può accadere che il lavoratore possa essere sottoposto al cosiddetto “effetto pendolo” e urtare, di conseguenza, contro il suolo, una parete o un ostacolo.
Altra circostanza da non sottovalutare riguarda la sospensione inerte del corpo (o sindrome da imbraco). Si tratta di una casistica che può capitare quando un lavoratore, in seguito a una caduta, rimane appeso e senza la possibilità di muoversi: una situazione che, a causa dell’imbracatura, può portare presto alla perdita di coscienza e, in mancanza di intervento in tempi brevi, anche alla morte.
Ecco perché comunque è importante non svolgere lavori in quota da soli ma con la presenza e il supporto di altri colleghi.
Formazione per i lavori in quota
L’aspetto legato alla formazione dei lavoratori in quota è fondamentale non solo per una valutazione efficace dei rischi ma anche per essere in grado di adottare le misure di protezione necessarie.
Un elemento da tenere in dovuta considerazione è che, per le tipologie di attività che riguardano i lavori in quota, è richiesto il corretto utilizzo dei DPI di terza categoria (per i quali formazione e addestramento sono obbligatori).
Come stabilito anche all’art.115, infatti, i lavoratori in quota sono tenuti a utilizzare Dispositivi di Protezione Individuale nei casi in cui non siano state attuate misure di protezione collettiva. Si tratta, ad esempio, di:
– assorbitori di energia;
– connettori;
– dispositivi di ancoraggio;
– cordini;
– dispositivi retrattili;
– guide o linee vita flessibili;
– guide o linee vita rigide;
– imbracature.
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