33* 12 febbraio 2020
Le zanzare sono dei Ditteri, esattamente dei Culicidi che hanno la particolarità di avere un apparato boccale, nelle femmine, in grado di pungere uomo ed animali prelevandone i fluidi vitali, ricchi di proteine utili per il completamento della maturazione delle uova.
L’apparato boccale del maschio è invece di tipo solo succhiante. Potendo trasmettere alla vittima microrganismi patogeni, ai Culicidi è posta molta attenzione sotto l’aspetto medico-sanitario.
Le zanzare hanno dimensioni piccole: dai 3-9 mm al massimo di 15 mm. Il loro ciclo cambia relativamente alla specie ed all’ambiente. Sostanzialmente alcune specie hanno una sola generazione l’anno, altre invece più generazioni, 15 nel caso della Culex pipiens.
Dopo la schiusa delle uova seguono quattro stadi di larva e uno di pupa. Ciò avviene nell’acqua, per una durata che dipende dalle condizioni climatiche. In generale la durata del ciclo di sviluppo varia da quattro giorni a un mese.
Dopo i primi 1-2 giorni dallo sfarfallamento, gli adulti sono praticamente inattivi. Dopodichè iniziano ad alimentarsi di sostanze zuccherine da cui traggono energia utile all’attività di volo, fondamentale per la riproduzione. I maschi possono vivere circa 13 giorni, mentre le femmine possono vivere circa 30 giorni nei mesi più caldi. Le femmine svernanti anche 120-150 giorni.
La deposizione delle uova varia notevolmente secondo la specie. Le uova, per lo sviluppo, devono essere immerse nell’acqua, ma la sopravvivenza è spesso garantita sebbene questa manchi. Le uova di Aedes, infatti, possono sopravvivere in ambiente asciutto fino a 3 anni.
La ovodeposizione avviene anche sopra l’acqua, per fare in modo che il processo si avvii a seguito di un innalzamento del livello, sulla vegetazione di piante acquatiche oppure in contenitori. Altre specie, invece depongono le uova direttamente nell’acqua, soprattutto quella stagnante.
Il numero di uova deposte varia da specie a specie. Le femmine di Culex e Anopheles depongono anche fino a 500 uova dopo il pasto di sangue, le Aedes depongono al massimo 150 uova.
Le larve per respirare devono prelevare l’aria dalla superficie e non dall’acqua e si nutrono di microrganismi acquatici o di detriti.
Gli adulti si nutrono di nettare e melata, liquidi zuccherini da cui sono soddisfatti i fabbisogni energetici. Le femmine si nutrono di sangue per apportare proteine fondamentali a completare la maturazione delle uova.
Nei culicidi l’attrazione è principalmente chemiotropica e basata sull’emissione di cairomoni in aggiunta di altri fattori di natura fisica, associati alla percezione del calore e dei colori. I meccanismi di attrazione della specie umana nei confronti delle zanzare sono dovuti dall’acido lattico prodotto dall’attività muscolare, unitamente all’anidride carbonica e del vapore acqueo emessi dalla respirazione. Le zanzare, inoltre, rilasciano feromoni di aggregazione che hanno effetto di attrazione su altre femmine marcando l’ospite. La saliva ha una funzione anticoagulante e anestetizzante, ma soprattutto svolge un effetto rubefacente, stimolando un aumento del flusso sanguigno nel capillare permettendo alla zanzara di completare il pasto il più velocemente possibile per poi darsi alla fuga. In molte specie questi picchi si verificano nelle ore notturne, dal crepuscolo all’alba, tuttavia vi sono anche specie che hanno attività nelle ore diurne, come la zanza tigre.
Alcune specie hanno un raggio di azione molto stretto, dell’ordine delle decine o delle centinaia di metri, altre sono invece in grado di spostarsi anche su distanze più ampie.
Le zanzare vivono generalmente nelle acque stagnanti di varia estensione e profondità, dall’acqua piovana raccolta da particolari conformazioni, fino alle grandi aree umide delle zone interne o costiere (stagni, paludi, foci, ecc.). Solitamente sono evitati i corsi d’acqua, ma larve di zanzare possono essere presenti presso le rive nelle anse, dove l’acqua tende a ristagnare e creare anche zone di un’importante umidità.
Le aree abitate dall’uomo, sia rurali che urbane, sono sfruttate da questo insetto volante in ogni posto in cui c’è possibilità che si formi un ristagno d’acqua più o meno ampio e di una certa durata: risaie, colture in cui si attua l’irrigazione per sommersione, nei canali di bonifica e nelle scoline, nei bacini artificiali e nei serbatoi aperti di varia natura, nelle discariche, nelle acque di deflusso di reflui organici ed addirittura nelle fognature.
In Europa sono presenti oltre un centinaio di specie. In Italia esistono poco più di 60 specie, tra cui le Culex, Anopheles, Ochlerotatus e Aedes.
La puntura delle zanzare e la sua saliva provoca un effetto rubefacente e una reazione allergica della pelle che si manifesta sotto forma di irritazione cutanea di gravità che cambia secondo il grado di sensibilità dell’individuo.
La lotta alle zanzare ha rappresentato nel passato uno dei principali obiettivi della bonifica idraulica delle aree umide e rappresenta tuttora uno dei più importanti settori dell’Entomologia applicata.
Le malattie trasmesse dalle zanzare all’uomo provocano ogni anno centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo, tanto da essere considerato il primo animale killer del pianeta.
3 specie sono responsabili della diffusione di malattie. La zanzara Anopheles è l’unica specie riconosciuta responsabile della trasmissione della malaria. Le zanzare Culex possono trasmettere l’encefalite, la filariosi e il virus del Nilo. Le zanzare Aedes, come la zanzara tigre, trasmettono la febbre gialla, la dengue, la chikungunya e l’encefalite.
Nella parte finale del 2015 ha fatto la sua terribile apparizione il virus Zika, considerato responsabile della nascita di neonati affetti da microcefalia in alcune aree del Brasile e dell’America Centrale.
La chikungunya è una malattia virale, caratterizzata da febbre acuta, trasmessa dalla zanzara tigre. Nel 2007 sono stati segnalati i primi casi in Emilia Romagna, mentre nel 2017 un’epidemia di chikungunya ha colpito più di un centinaio di persone in Emilia Romagna.
L’avvento degli insetticidi clororganici e in particolare del DDT negli anni quaranta hanno contribuito a controllare infestazioni. A dispetto della sua triste fama, il DDT è ritenuto il principale artefice dell’eradicazione della malaria negli Stati Uniti d’America, in Italia, in Grecia.
Dagli anni novanta in poi l’indirizzo generale è stato quello di contenere l’impatto ambientale della lotta chimica con il ricorso a piani di controllo integrato che prevedono l’uso di tecniche più sostenibili, la bonifica dei focolai di proliferazione, il ricorso alla lotta biologica. In alcuni Paesi, come ad esempio in Francia nel 2005, si è giunti a bandire l’impiego di prodotti chimici tossici nella lotta larvicida.
Negli anni più recenti, città italiane come Parma, Roma, Padova hanno, in modo diverso, emanato ordinanze con restrizioni operative sulle disinfestazioni.
L’orientamento verso un controllo di tipo integrato è stato favorito dall’acquisizione di una più ampia conoscenza dell’ecologia e dell’etologia dei Culicidi, delle dinamiche degli ecosistemi acquatici e della fisiologia degli insetti. Ciò ha permesso anche l’introduzione degli insetticidi di quarta generazione, a basso impatto sui vertebrati in quanto interferiscono specificamente con la fisiologia degli artropodi o perché dotati di una minore tossicità intrinseca, e, soprattutto, con la costituzione di ceppi di Bacillus thuringiensis.
Le linee di intervento vertono su tre differenti livelli: interventi di tipo profilattico di modifica dell’habitat, finalizzati a contenere la proliferazione nel lungo periodo. Interventi di tipo profilattico diretti sulle larve finalizzati a contenere i focolai di proliferazione nel breve periodo
Interventi di tipo preventivo finalizzati al contenimento dell’attività delle femmine adulte.
Gli interventi sull’ambiente hanno scaturito diverse problematiche e spesso di difficile attuazione a causa del conflitto con altre esigenze di carattere ambientale, economico e strutturale. Alcune specie, come è successo per la comune Culex pipiens, si sono adattate all’urbanizzazione ed hanno fondamentalmente spostato i loro siti di proliferazione dalle aree umide naturali ai microambienti acquatici creati dall’attività umana. Queste specie hanno peraltro tratto vantaggio dall’eutrofizzazione delle acque superficiali, più povere di ossigeno e più ricche di sostanza organica.
Oggi questi interventi possono essere concepiti nell’ambito di un programma di sensibilizzazione generale che spinga le persone a prevenire la formazione dei piccoli focolai rimuovendo le cause che possono creare condizioni per la formazione di temporanei microambienti acquatici.
Gli interventi diretti sulle larve, applicati da decenni, si basano sull’ampia disponibilità di principi attivi impiegabili, almeno a livello teorico, nella lotta chimica. A questi si aggiungono gli insetticidi di quarta generazione, che rientrano per lo più fra i cosiddetti regolatori dello sviluppo. In particolare, la categoria dei chitinoinibitori (diflubenzuron, flufenoxuron, ecc.) che arrestano lo sviluppo delle larve. Rispetto agli insetticidi di vecchia generazione presentano il vantaggio di non interferire con la fisiologia dei vertebrati e di avere perciò una tossicità virtualmente nulla nei loro confronti. Alla lotta larvicida eseguita con insetticidi di sintesi si può aggiungere, per le analogie di intervento, quella eseguita con bioinsetticidi, attualmente largamente in uso con il ricorso al ceppo israelensis del Bacillus. I bioinsetticidi offrono il vantaggio di avere un impatto nullo sui vertebrati e, quindi, un basso impatto ambientale. La lotta larvicida ha visto per alcuni prodotti l’insorgenza di fenomeni di resistenza.
Strutturalmente, per una lotta adultucida, sono da intraprendere accorgimenti come l’utilizzo di dispositivi che impediscono l’ingresso delle femmine negli ambienti chiusi (zanzariere), l’uso di indumenti che interferiscono con la percezione (colori chiari)…
L’uso di repellenti, ovvero sostanze che interferiscono con gli stimoli olfattivi o ne annullano l’effetto provocando l’allontanamento delle femmine dalle potenziali vittime (famosa la citronella) sono da considerare.
I trattamenti chimici adulticidi, invece, consistono nel rilascio nell’aria, tramite nebulizzazioni o atomizzazioni ma anche fumigazioni. La loro azione si esercita sulle femmine durante il volo o quando si posano sulle superfici. Il contesto specifico (uso in ambienti domestici e civili, chiusi, in presenza di persone e animali, intervento sul problema in atto) fa sì che questi prodotti rispondano a specifici requisiti: da un lato devono avere una bassissima tossicità nei confronti dell’uomo e degli animali domestici e da un altro devono avere un elevato potere abbattente, ovvero devono avere un effetto insetticida istantaneo. In generale, i prodotti che rispondono a questi requisiti rientrano nella categoria dei piretroidi ai quali è aggiunto spesso il piperonil butossido per la sua azione sinergizzante.
In generale, gli interventi contro gli adulti si rivelano i meno efficaci e i più difficili da attuare e rappresentano per lo più palliativi adatti a proteggere le persone in ambienti chiusi e limitati. In merito all’uso di insetticidi, va detto peraltro che nonostante la bassa tossicità e l’impiego su scala ridotta, il ricorso a questi mezzi in ambito urbano è larghissimo, ponendo comunque il problema del rilascio di quantità di principi attivi a largo spettro d’azione, poco selettivi.
La difficoltà nell’ottenere risultati soddisfacenti e durevoli sono dovuti alle condizioni metereologiche (l’umidità della notte e le piogge che dilavano i prodotti immessi, il sole di luglio che rovina la molecola della soluzione usata) e dal fatto che un’area non trattata può espandere facilmente l’infestazione in quella sebbene disinfestata.
In natura sono particolarmente attivi nei confronti delle larve delle zanzare gli Artropodi predatori e i Pesci, molto utili da introdurre nelle vasche o fontane dei giardini.
Nei confronti degli adulti sono invece attivi, gli Anfibi, gli uccelli insettivori e i pipistrelli. L’attività di questi ultimi, crepuscolare e notturna, è notevole: un solo individuo può infatti divorare oltre 500 zanzare nell’arco di una sola notte. Ma, operando la notte, non è predatore della zanzara tigre che è invece operativa in altri momenti della giornata.
In Italia il rischio sanitario dovuto alle zanzare è principalmente legato all’introduzione di virus patogeni quali Chikungunya, Dengue e Zika tramite persone infette che possono essere punte dalla Zanzara Tigre dando origine a possibili eventi epidemici. In alcune regioni vi è il rischio di infezione da parte del virus West Nile, che sfrutta gli uccelli come serbatoi ma può interessare anche l’uomo e gli equidi causando encefaliti in genere a risoluzione spontanea, raramente evolvono in forme gravi. È trasmesso dalla zanzara comune Culex pipiens. La Dirofilariasi canina ha carattere endemico nella Pianura Padana. In generale il problema riguarda la molestia, il fastidio.
Spesso le amministrazioni locali sono oggetto di contestazione da parte dell’opinione pubblica per l’adozione di misure insufficienti o tecnicamente discutibili. Spesso, però, le “mancanze” sono da ricondurre al privato che non adotta le misure precauzionali come da ordinanze comunali.
Le misure idonee a garantire condizioni igienico sanitarie ottimal sono atte a salvaguardare l’ambiente dal punto di vista infestazioni da insetti volanti.
L’attività di bonifica del territorio rappresenta la chiave di volta per tutti i grandi problemi connessi all’igiene ambientale. In concreto occorre limitare al massimo ogni possibile causa d’impianto, di attrazione o di
perpetuazione della zanzara sia per quanto concerne i luoghi di rifugio delle forme
adulte che i focolai larvali.
Bisogna provvedere all’eliminazione della fitta vegetazione acquatica infestante le rive
di torrenti e di serbatoi dismessi, all’eliminazione della vegetazione infestante i lotti di terreno non utilizzati (sfalcio e/o diserbo ove possibile), all’eliminazione di altri ristagni d’acqua, in particolar modo quelli luridi, al controllo degli scantinati allagati, al controllo delle condotte di smaltimento idrico sotterraneo (fognature) e, in modo particolare, delle caditoie. Al controllo ed eliminazione sistematica di tutte le piccole raccolte liquide in recipienti vari sparsi negli stabili ed adiacenti piazzali.
In altri termini devono essere tolti ristagni idrici di bidoni, materiali vari accatastati, sottovasi o coprivasi, teloni non ben tesi, pneumatici lasciati all’aperto, piccoli recipienti, ciottole, ecc. È necessario mantenere i giardini falciando regolarmente l’erba e sfoltendo le siepi affinchè non fungano da rifugio e ripari per il riposo per le zanzare adulte. Occorre eseguire manutenzioni per evitare l’ostruzione di grondaie, tombini e, come detto sopra, in quelle realtà in cui non è semplice togliere l’acqua (caditoie, ecc.) applicare sostanze antilarvali.
Trappole che combinano attrattività con luce ed emettendo anidride carbonica non sono attualmente risolutive se non per spazi da difendere ristretti.
La zanzara che da anni molesta da aprile ad ottobre, finanche a novembre se il caldo perdura, è senz’altro la zanzara tigre.
Questa è lunga dai 5 ai 10 millimetri. La sua caratteristica estetica è quella di essere tigrata di bianco e nero. I maschi sono più piccoli rispetto le femmine di circa il 20% ma la morfologia è molto simile.
Questo insetto è diurno con attività principale nel tardo pomeriggio. È decisamente attratta dal genere umano e trova negli ambienti urbani molteplici luoghi adatti alla propria riproduzione.
Le femmine depongono le uova sulle pareti di contenitori e recipienti di varia natura in grado di contenere acqua. Preferiscono luoghi piccoli e scuri come il loro originario ambiente naturale che era fatto da piccole cavità presenti negli alberi delle foreste tropicali da dove provengono. Quindi, come detto più sopra, realtà come sottovasi, pozzetti di raccolta dell’acqua piovana, grondaie, giochi per i bambini, annaffiatoi, ma anche lungo le strade nelle caditoie, nei parchi e piazzali.
Le loro uova, per schiudersi, dovranno necessariamente essere sommerse dall’acqua. Il ciclo vitale si compone di 4 fasi: uovo, larva, pupa e adulto. Le larve e le pupe possono svilupparsi solo ed esclusivamente in presenza di acqua. La zanzara tigre si muove da dove ha ovodeposto per non più di 200 metri (anni fa si credeva per una distanza molto minore).
Uova ed adulti possono sopravvivere durante l’inverno in caldi micro habitat.
La zanzara tigre ha sfruttato i trasporti commerciali umani per diffondersi in molte zone del mondo, passando dall’Africa e nel Medio Oriente, poi Sudamerica, Stati Uniti d’America, in Oceania e per approdare alla fine in Europa.
In Italia sembra abbia fatto la sua comparsa nel 1990 a Genova, in un deposito di pneumatici usati, importati dagli Stati Uniti. Da qui si è diffusa praticamente in tutta la penisola.
È inserita nell’elenco delle 100 tra le specie invasive più dannose al mondo
La femmina di Aedes albopictus, questo il suo nome scientifico, ha bisogno di un pasto di sangue per la produzione delle uova. Esse integrano il loro fabbisogno energetico con nettare ed altri succhi vegetali dolci, esattamente come fanno i maschi. Nella localizzazione dell’ospite hanno un ruolo importante l’anidride carbonica, le sostanze organiche prodotte dall’ospite (acidi grassi, ammoniaca, acido lattico) e segnali visivi (sono attratte dal nero). Cerca le sue prede dentro e fuori le abitazioni, ma è particolarmente attiva all’aria aperta.
Punge anche altri mammiferi e uccelli. Quando affronta un pasto di sangue la localizzazione dell’ospite è molto prudente. Prima mostra un comportamento di ricerca indistinta, poi percepisce l’ospite ed inizia la fase di approccio mirato. Spesso interrompe il pasto di sangue prima di aver ingerito la quantità necessaria allo sviluppo delle uova, quindi le zanzare tigre possono pungere più ospiti durante il ciclo della produzione delle uova.
Pungendo ospiti di specie diverse sono particolarmente atte a trasmettere malattie da una specie all’altra (ad esempio la dirofilariasi dal cane all’uomo).
Come già detto, la zanzara può trasmettere nematodi come la dirofilariasi e virus responsabili di malattie come la febbre gialla, l’encefalite di St. Louis, la dengue, la chikungunya (responsabile dell’epidemia di chikungunya del 2005-2006 sull’isola francese di Riunione) e zyka. In settembre del 2006 si stimarono circa 266.000 persone contagiate e si contarono 248 morti sull’isola. Fu anche vettore di tale virus causando la prima e unica epidemia di chikungunya in Europa, avvenuta in Italia, precisamente a Ravenna, nell’estate del 2007, durante la quale vennero infettate più di 200 persone. È stato appurato che una mutazione del virus di chikungunya ha aumentato l’efficienza di trasmissione da parte di Aedes albopictus. Per questo si teme che questa malattia si possa nuovamente diffondere nelle regioni dove questa zanzara è presente.
La zanzara tigre ha rilevanza anche in campo veterinario. È vettore di vermi parassiti del genere Dirofilaria, agenti della dirofilariasi cardiovascolare in cani e gatti.
Un mezzo per individuare la zanzara tigre (e per vedere l’efficacia dei trattamenti antilarvali) è costituito dalla ovitrappola: in caso di presenza si vedono le uova deposte sulle palette di legno.
La sua notevole capacità di adattamento ad ambienti diversi, del suo stretto contatto con gli uomini e della sua biologia riproduttiva, fa si chè risulta molto difficile da controllare.
Nel controllo della zanzara tigre, ancora una volta, si insiste sull’importanza delle azioni che portano l’eliminazione o inattivazione dei luoghi di deposizione delle uova.
Attualmente esistono anche trappole contro la zanzara tigre adulta, sebbene l’efficacia non sia spesso soddisfacente. I risultati sono stati contrastanti da zona a zona.
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